Fabrizio Santi
Motivazione: Per l’opera narrativa
Nota critica di Massimiliano Pecora
Il thriller fantastico affascina moltissimi lettori perché presenta un insieme di situazioni che, per quanto possano rispondere a leggi proprie, non esulano dalla più stringente e quotidiana realtà. Tuttavia, se il ricorso alla quête vellica le facili identificazioni tra il detective e un pubblico desideroso di riscattare il grigiore della vita attraverso le maglie della finzione narrativa, molto più complesso è dimostrare cosa anima gli uomini all’indagine.
Spirito di avventura? Passione speculativa? Autocompiacimento intellettualistico e narcisistico? Dopo un lungo artigianato creativo e, quasi per caso, un autore romano ha fatto propri i caratteri più importanti del thriller contemporaneo, costruendo una serie di racconti in cui si dipana quel processo mentale che il filosofo Daniel Dennett, nel saggio Intuition pumps and Other Tools for Thinking, ha chiamato jootsing: incapaci di ‘pensare il pensiero’, dobbiamo ammettere che l’oggetto delle nostre investigazioni è sempre interiorizzato e, spesso, viene vanificato proprio dal senso comune e dal riscontro empirico, i rassicuranti strumenti della nostra razionalità. Più volte, nell’affabulazione del Quadro maledetto (2015), del Settimo manoscritto (2016), dell’Enigma della cattedrale sommersa (2018) e della Stanza degli enigmi (2019) – questi i titoli di quattro best-seller pubblicati per la Newton&Compton con una media di 40.000 copie vendute per edizione – la logica del protagonista si rivela inadeguata allo scioglimento dell’intrigo. Vero campione del jootsing è il romanziere Giulio Salviati, il protagonista degli ultimi tre romanzi sopraccitati. In ossequio a un noto stilema postmoderno, Salviati, chiamato a risolvere complessi e mortali misteri, ribadisce quanto le sue creazioni letterarie siano il frutto di un meccanismo fittizio e precostituito, ben lontano dall’epifanico prodigio che, contro le più ardite ed astratte speculazioni, il corso degli eventi ci riserva. È questo lo spirito con cui il narratore-detective riduce a sapiente misura la sua ansia di conoscenza, come scopriamo leggendo un passo della Stanza segreta degli enigmi: «La verità era che non riusciva a immedesimarsi nel mondo della scrittura. La realtà con un grumo di misteri da risolvere lo aspettava lì, fuori della porta di casa. La mente non poteva essere libera. Certo, non lo era mai stata, anche in altre occasioni in cui era impegnato nella scrittura». Ridotta a mero esercizio preparatorio per l’indagine da venire, l’invenzione artistica, equiparata al processo maieutico, perde valore nel confronto diretto con l’insondabilità del mistero. Quindi gli indovinelli, le sparizioni, le labirintiche architetture, gli ingegnosi e pericolosi ordigni della tecnica, gli steganogrammi, i cospiratori e gli innocenti, i carnefici e le vittime sono il pretesto per condurre una ricerca inappagante nei palazzi, nelle biblioteche e nei sotterranei di Roma, dell’Italia e delle città del Nord Europa. Per l’acuta ironia verso gli eccessi del ragionamento apodittico, per la sapiente fusione degli arrovellanti congegni della crittografia con le costruzioni enigmistiche mutuate dalla tradizione della cultura artistica e scientifica di marca europea, per la misurata contaminazione di avventura e di mistero e per la chiarezza stilistica che ci guida nella narrazione delle avventure di Giulio Salviati, non possiamo fare a meno di concordare con Walter Colangelo quando, in una pagina di «Milano Nera» del 30 novembre 2019, celebra l’abilità mimetica che fa da stigma della Stanza segreta degli enigmi. Nel rispetto di quanto osservato la Giuria della XXIX edizione del Premio letterario internazionale ‘Città di Pomezia’ conferisce il suo riconoscimento all’opera narrativa di Fabrizio Santi.