Fabio De Agostini
Fabio De Agostini nasce a Bellinzona il 12 ottobre 1923 e muore a Roma il 9 luglio 2009.
Si forma come scrittore, regista e autore teatrale negli anni del dopoguerra, nella suggestione del clima culturale e ideologico di Luchino Visconti, Cesare Zavattini e Carlo Lizzani e di quest’ultimo resta un sodale e affettuoso amico per tutta la vita. Sia come regista cinematografico e sceneggiatore sia come scrittore e giornalista, De Agostini matura la fedeltà ai primordi ideologici del Partito comunista italiano di cui sposa, però, il nucleo primigenio e la polemica verso una società che deprime ogni afflato umanitaristico e sociale. In tal senso la vasta produzione artistica coinvolge la regia cinematografica, la narrativa, la drammaturgia e la radio-drammaturgia muovendosi intorno a temi di stretta attualità socio-antropologica e comprensivi delle aberrazioni emotive dell’animo dell’uomo del XX e del XXI secolo. Sulla scorta del ricco e intenso epistolario con personaggi di chiara fama – si va da Enrico Berlinguer a Carlo Lizzani, da Joseph Losey ad Alberto Bevilacqua e a Giorgio Orelli – la biografia intellettuale di De Agostini muove dalle istanze dell’irredentismo italo-svizzero e dalla contestazione più aperta del neo-capitalismo contemporaneo per indulgere sulle origini delle deviazioni etiche e morali del mondo odierno attraverso lo specchio deformante della seconda guerra mondiale, della lotta partigiana e della rivoluzione neo-liberista. Ai primordi della sua produzione fu un sostenitore del realismo lukácsiano per poi propendere verso quell’esercizio creativo in cui lo stile, coinvolgendo tutti i generi della letteratura e della produzione cinematografica, fa della scrittura il laboratorio prediletto per inverare la personale posizione critica e socio-culturale dello scrittore. Vedasi, all’inizio degli anni Settanta, Smolny (1972), una rivisitazione critica della Rivoluzione d’ottobre all’ombra delle ambiguità ideologiche soggiacenti alla rivoluzione italiana del ’68 e rappresentate con il ricorso all’iconografia fantastica che ha nutrito anche la produzione b-exploitation degli anni Settanta del regista bellinzonese. Anche in quest’ultimo caso, però, il senso dell’indagine etica non è mai venuto meno, come provano il documentario sulla prostituzione Belle d’amore e l’adozione eversiva dell’erotismo nella medesima chiave poetico-ideologica della letteratura e della cinematografia pasoliniane. Lo dimostrano, inoltre, il romanzo Solstizio di tenebre, sceneggiatura-letteraria del film Le lunghe notti della Gestapo, e il polemico saggio anti-censorio Antologia del cinema erotico dal Sessanta all’Ottanta. Figlio del neorealismo, nella sua lunga maturazione artistica, Fabio De Agostini si è cimentato con le grandi prove della cinematografia d’autore – è del 1956 il bozzetto eticamente esemplare del film Lauta mancia – e con i romanzi storico-politici, coinvolgendo la trasposizione radio-drammatica e narrativa di grandi capolavori della tradizione letteraria italiana dell’Ottocento e del Novecento: I promessi sposi degli anni Quaranta, Il breve passo (1985), I gattini ciechi (1992) sono un esempio calzante di racconti a sfondo saggistico e politico dove il dramma della cultura italo-transfrontaliera si coniuga sia con il grande cambiamento politico dell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta sia con il sofferto distacco del nostro autore dalla logica compromissoria del nuovo partito comunista italiano.
Fabio De Agostini rappresenta la voce stoicamente affranta di un momento storico-critico che, avvertito come nostalgicamente irrisolto, pone ancora molti dubbi nella storiografia letteraria e culturale italiane: nell’alveo del dibattito sul realismo italiano, il nostro autore affronta questioni complesse e attuali sottolineando il valore delle incongruenze nello status storico e sociale dell’uomo contemporaneo, come ben ci rivelano il dittico romanzesco Fuga in avanti (1994) e il racconto-sceneggiatura L’ingorgo – nucleo ispiratore dell’omonimo film di Comencini (1979).
Di contro all’oggettività e alla brevità del dettato, nel corso della sua sofferta maturazione intellettuale – testimoniata dal notevole corpus epistolare ancora lontano della completa recensione – De Agostini oppone, dopo il 1980, un modo di narrare sospeso tra realtà e sogno, non dimenticando, però, di esplicitare la sua visione contestatrice e engagè. In tale prospettiva dovremmo leggere e interpretare opere come Cercando di là.
Variazioni su un tema e le trenta scritture per la scena che dal 1965 – anno in cui la prima opera teatrale, Giorno dopo notte giorno dopo, ottiene il premio opera prima dell’Istituto del Dramma Italiano e viene pubblicata dalla rivista «Ridotto» – sono raccolte nei volumi Teatro di frontiere (Milano, Sipario, 1993) e Teatro Due. Altre frontiere (Roma, Arlem, 1998). Al limite del dramma dell’assurdo, e con inserti meta-teatrali e beckettiani, pièces come Kriminal Play (Roma,Teatro delle Muse, 1965), La colpa di telefono (Roma,Teatro dei Satiri, 1968), E del potere le segrete stanze (Televisione Svizzera Italiana, Lugano, 1973), Come i raggi al sole (Radio Svizzera Italiana, RSI, 1978) e Notturno simbolico (RSI, 1990) fanno da corona a più di cinquanta adattamenti radiofonici tratti dai grandi romanzi della narrativa italiana del primo e del secondo Novecento, come ci testimonia Andreas Kotte alla voce «De Agostini Fabio» del Dizionario teatrale Svizzero, Zurigo, ChronosVerlag, 2005, vol. 1, p. 436. Giornalista e documentarista, Fabio De Agostini, dal 1950 al 1987, è stato anche aiuto regista e sceneggiatore di alcuni dei più importanti artisti del panorama europeo. Si citino, ad esempio, Mario Bonnard, Gézavon Radványi, Joseph Losey, Sergio Grieco, Giacomo Gentilomo e Sergio Nasca.
Lo scrittore ha vissuto tra Roma e il Cantone Ticino, trascorrendo fin dagli anni ’60 lunghi periodi a Torvajanica.
In Zapping, gli spazi di una vita. Romanzo di memoria, Roma, Arlem, 2003, scrive: “In quei mesi mi rifugiavo spesso (e poi in seguito, fino a oggi) davanti al mare nella costa allora abbastanza selvaggia di Torvajanica, che qualcuno ha chiamato Torva beach. A un passo da Roma, a sud di Ostia. Tanto mare, calmo e liscio, burrascoso, dolce o frenetico, nei colori azzurri, verdi o plumbei, e placido silenzio o fischi di vento. Ci trovavo forse lontane affinità elettive, così il mare é entrato dentro di me prealpino suggerendomi qualche storia d’avventura. Un modo per sottrarsi al neorealismo minimalista o da commedia, perché per vere storie realistiche non sembrava esserci più spazio. Cercai una casa , un buen retiro alto proprio di fronte al mare, cominciando a perlustrare la costa davanti a Roma, da Ostia in giù. Per trovarla proprio lì, a Torvaianica; un attico con terrazzo e un grande sovraterrazzo al terzo piano di una palazzina appena costruita e ancora isolata, sulla litoranea, davanti alla spiaggia e al mare. …Alle spalle una distesa di campi e di macchia mediterranea, dove in primavera pascolavano greggi di pecore prima di iniziare la transumanza, il loro viaggio stagionale attraverso il Lazio fino a raggiungere i contrafforti dell’Appennino abruzzese, attraverso un misterioso itinerario accidentato di prati e di angusti passaggi. Dietro la casa anche un gruppo di grandi antenne di Italcable destinate allora a trasmettere via radio le telefonate intercontinentali, e poi le colline dei Castelli romani. Poco più su era stato costruito lungo la spiaggia un ambizioso stabilimento balneare con alcune camere per il pernottamento e un ristorante: il Corsetti, subito famoso per avere appena ospitato Elisabeth Taylor impegnata a girare “Cleopatra” (nei vicini studi De Laurentis, inaugurati allora) e ad avviare i suoi amori con Richard Burton.”… La strada sul mare tra Ostia e Torvajanica era interrotta dalla grande proprietà di Castelfusano, passata da Casa Savoia alla Presidenza della Repubblica, fin quando venne aperta la striscia litoranea, con grandi spiagge libere tra dune e cespugli… Ci fu da quelle parti, nei primi anni ’80, anche uno straordinario Raduno di Poesia”.