Antonella Colonna Vilasi
Motivazione: Per l’opera storiografica e l’accurata ricerca scientifica
Nota critica di Massimiliano Pecora
Un recente e attualissimo saggio di Franco Cambi, La storiografia nell’Italia contemporanea, apparso nel secondo fascicolo della «Rivista di Storia dell’Educazione» del febbraio 2023, in forma sintetica e accurata richiama i nuovi indirizzi della ricerca storica italiana contestualizzata nel panorama mondiale. A ben ragione, Cambi colloca tra gli anni Sessanta e Settanta l’idea di una storia totale, foriera di una visione più complessa e articolata e sempre accompagnata da ampie riflessioni metodologiche. Oggi il fare-storia si presenta, alla luce dei mutamenti intervenuti tra il 1960 e il 1980, come un compito decisamente complesso, che intreccia i dati più vari attraverso una documentazione polimorfa e analizza la verità e la capacità informativa dei riscontri attraverso canoni interpretativi diversi, in una continua tensione innovativa e oggettivamente ricca.
Questa storiografia pluralistica si è affermata in tutti gli ambiti della ricerca, da quello politico a quello economico, da quello sociale a quello ideologico. E gli ultimi decenni del XX secolo e i primi del XXI hanno portato a maturazione questo pluralismo, decretando la maggiore specializzazione a scapito di una pericolosa visione teleologica. Siano sufficienti il conflitto russo-ucraino e la riapertura del nuovo conflitto lungo la striscia di Gaza a dimostrarci l’attendibilità scientifica del nuovo percorso. Tuttavia dobbiamo rilevare dell’altro. Non lontano dalla casuale coincidenza, se la storiografia italiana si è trovata a un punto di svolta negli anni Settanta, il medesimo cambiamento occorre nella riorganizzazione dei servizi segreti e nella politica di intelligence, specie dopo la legge n. 807 del 1977. Trent’anni dopo, la riforma dell’intelligence si adeguerà ai cambiamenti mondiali. Ecco che la storia specialistica dialoga con quella del mondo; la memoria storica – tanto cara ad Alessandro Barbero – diventa occasione storiografica per documentare ciò che si deposita in quel campo di ricerca esplorato con acume dalla studiosa che oggi premiamo.
Perché sospesa in questo pluralismo di fonti e di dati, perché costruita su un’interpretazione precisa delle fonti e degli eventi, la storia dell’intelligence e dei servizi segreti italiani è la storia del nostro paese e, nello stesso tempo, del mondo. È storia sociale e istituzionale, specie se pensiamo alla svolta radicale dell’art. 23 della legge 124 del 3 agosto 2007. Non si tratta di analizzare solo i casi di stato, ma la zona liminare in cui la ragione di stato e lo stato stesso costituiscono un complesso amalgama sotto la cui superficie agiscono le forze dinamiche della società. In tal senso, la professoressa Antonella Colonna Vilasi ha da anni cercato quelle verità che, per dirla alla maniera dell’Umberto Eco del Cimitero di Praga, sono contro-fattuali, verità tali da apparire bugie se non fossero ricondotte al crivello interpretativo della storiografia attenta e disciplinata che filtra ogni documento, da quello attendibile al falso, entrambi, però riconosciuti quali frutto di fenomeni importanti da illuminare con l’intelletto.
Docente di intelligence in diversi atenei europei e responsabile dell’Università Centro Studi sull’Intelligence – UNI – Ente di ricerca legalmente riconosciuto dal MIUR, MISE e dalla Commissione Europea, Antonella Colonna Vilasi collabora per numerose riviste scientifiche. Tra i suoi copiosissimi saggi, sempre deprivati da ogni vena polemica e frutto della conoscenza dei principali protagonisti della storia istituzionale e non, ricordiamone alcuni: da Segreto di Stato e Intelligence del 2008 a Intelligence. Evoluzione e funzionamento dei servizi segreti (2013) fino ai tre imponenti volumi dedicati alle Agenzie di intelligence nelle aree mondiali (2013) e L’intelligence italiana: dall’Unità ai giorni nostri (2017). Non stupisca che, da ottimo storico, abbia voluto anche dedicarsi alle opere di pedagogia della storia nella società multietnica. Del resto non è al proprio figlio che l’antesignano del pluralismo storiografico, Mar Bloch, avrebbe dedicato L’Apologia della storia, il più bello – anche perché tristemente incompiuto – tra i libri con cui i padri si impegnano a trasmettere il loro lascito, benché meravigliosamente tragico e carico di speranzose attese?
Per questo connubio di precisione e inesausto impegno storico, storiografico e paideutico va l’alto riconoscimento della giuria e del presidente della XXXII edizione del Premio letterario internazionale Città di Pomezia alla dottoressa Antonella Colonna Vilasi.